sabato 13 settembre 2014

#040 - La fotografia ai tempi del computer


Damiano a San Feliciano di Magione (PG) il 8-9-2014
Non so se Damiano (6 anni) ami la fotografia, ma è sicuro che i bambini in tenera età cercano, nel bene e nel male, di emulare i genitori nei loro gesti, attività e interessi.
È così che mio figlio, di tanto in tanto, mi chiede di poter usare la mia vecchia fotocamera digitale di cui per forza di cose è diventato comproprietario, nell’attesa che il suo babbo ne acquisti una nuova (la vedo dura) e di acquisire di conseguenza il restante cinquanta per cento dei diritti.
Lunedì 8 settembre avevamo un po’ di tempo da passare insieme e abbiamo deciso di andare a San Feliciano di Magione (PG) sulle sponde del Lago Trasimeno, per fare una passeggiata approfittando della bella, quanto rara di questi tempi, giornata di sole.
Partiamo io, Damiano e la nostra macchina fotografica e copriamo in una mezz’ora la distanza che divide Bastia Umbra dalla località lacustre.
Dopo aver ciondolato per un po’ sull’altalena, il bimbo mi chiede di poter scattare alcune foto agli uccelli, meglio identificati come “papere”, che galleggiavano allegramente sul pelo dell’acqua.
Vado al vicino chiosco-bar e mi faccio dare del pane raffermo, lo bagno con un po’ della minerale di Damiano, imposto la macchina in semi-automatico con tempi molto rapidi, consegno la fotocamera con tutto il battery pack al bambino, che sembra nemmeno reggere il suo peso tanto questa è ingombrante, getto il pane in acqua e aspetto che tutto si compia.
In pochi secondi le papere si fiondano sul pane, alcuni gabbiani, ai quali evidentemente la scena non era sfuggita, si gettano in picchiata anche loro sulle molliche e Damiano assai divertito scatta foto a ripetizione finché non mi riconsegna la macchina e mi chiede di tornare sull’altalena.
Nel trambusto osservo orgogliosamente mio figlio che fotografa e con sorpresa vedo il movimento che compie il suo corpicino nel cercare di fissare con la camera i gabbiani in volo seguendo attraverso l’oculare i loro leggeri spostamenti in aria.


Dopo un po’ la fame prende il sopravvento, io ripongo la vecchia D80 nello zaino, Damiano prende posto sul suo seggiolino posizionato sul lato posteriore dell’auto e si torna allegramente a casa per il pranzo, ascoltando la versione in audiolibro di “Marcovaldo”.
Tutto cade nel dimenticatoio fino a quando non mi ricapitano tra le mani le immagini digitali riprese per gioco da mio figlio.
Foto banali, scattate da un bambino che a malapena riesce a tener ferma una gigantesca e sproporzionata macchina fotografica fatta per essere sostenuta da ben altre mani.
Le osservo distrattamente finché la mia attenzione non viene rapita dall’immagine del gabbiano in volo e ripenso al movimento che ha fatto Damiano per inquadrare la scena quasi come un fotografo provetto che insegue la sua preda con lo sguardo.
Decido di dargli una sistemata.
Ho preso la foto, l’ho ruotata di quel tanto che basta per farla diventare perfettamente orizzontale, l’ho “croppata” per mettere il gabbiano al centro dell’immagine e ho ripristinato con un altro taglio in altezza il rapporto originale di 2/3 tra i lati.
Successivamente ho virato il file in bianco e nero, ho giocato un po’ con i livelli, ho tirato fuori più che potevo le nuvole, dopodiché ho contrastato l’immagine per drammatizzare un po’ la scena.
Il risultato finale è una fotografia gradevole ed equilibrata, con tanto di “piccione” di “vumailsiana” memoria, niente di eccezionale, come se ne vedono tante in giro per internet e ieri l’ho postata sul mio profilo facebook come se fosse mia… per vedere l’effetto che fa.


Il giochino era fatto, subito mi sono aggiudicato i classici “mi piace” di amici e parenti che per stima, amicizia e simpatia reciproca non mancano mai e vissero tutti felici e contenti fino al prossimo “Scrivi qualcosa…” oppure “A cosa stai pensando?”.
Ma come si suol dire la riflessione nasce spontanea.
Allora è vero che basta conoscere alcuni semplici trucchi informatici per fare delle fotografie sufficientemente accattivanti e gradevoli?
Ma è proprio vero che basta scattare qualsiasi immagine per poi poterla ritoccare e abbellirla a casa propria comodamente seduti davanti al PC?
Naturalmente NO! ma questo è quello che credono in molti, sentendosi dopo poche esperienze dei provetti fotografi, magari dopo aver frequentato qualche corso tenuto dai soliti guru, azzerando velocemente il gap tecnico che nel mondo analogico rappresentava un setaccio un po’ più arduo da superare.
Oggi sappiamo bene che successivamente alla famigerata “fase di meraviglia” dove tutti e troppo facilmente diventano dispensatori di belle fotografie, lo scontro si sposta sul piano culturale, sul linguaggio e sui contenuti e pertanto le nostre belle immagini per quanto alla moda, ricercate e piene di artefici o sotterfugi digitali saranno sempre più destinate a popolare i nostri desktop, ad essere appese in salotto sopra ai divani, a colmare fino a scoppiare il calderone di internet o alla meglio finire in qualche mostra paesana della domenica, ma nulla più.
Niente di male, ci siamo passati tutti, purché sia un fatto consapevole.
Se poi dovesse nascere qualche altro Luigi Ghirri o Mario Giacomelli ne saremmo tutti felici.
Meditate gente.

mercoledì 10 settembre 2014

#039 - Terzo paesaggio


fotografia di Maurizio Leoni

Se fossi più colto di quello che veramente sono vi stupirei con un dotto trattato sul “Terzo Paesaggio” da lasciarvi tutti a bocca spalancata.
Impegnandomi forse ne avrei anche le capacità, ma purtroppo non sono né un geografo, né un agronomo, né un botanico, né un ecologo e forse nemmeno un fotografo, anzi direi che sono un essere sufficientemente ignorante che per imparare mi tocca scrivere post su questo blog.
Senza contare inoltre che i miei interessi non seguono un andamento lineare ma si muovono a caso lungo strani percorsi a zig-zag, come i ponti di alcuni giardini cinesi, attraverso i quali, per questa loro bizzarria geometrica, gli spiriti maligni non possono passare.
Devo ammettere però che l’argomento mi affascina parecchio e non da oggi, da prima di quando due anni fa acquistai il prezioso libricino dal titolo (nella versione italiana) “Manifesto del terzo paesaggio” di Gilles Clément edito da Quodlibet (2005) ISBN 88-7462-048-9.
Giunti a questo punto, dobbiamo innanzitutto cercare di dare risposta ad alcune semplici domande, chi è Gilles Clément, cos’è il “Terzo paesaggio”, quali fonti di ispirazione o implicazioni culturali potrebbe comportare quanto sopra per chi fotografa.

Cercando di rispondere alla prima domanda sulla persona di Gilles Clément, da wikipedia apprendiamo che questo signore (1943) è uno scrittore, entomologo, architetto del paesaggio e ingegnere agronomo francese.
È insegnante all'École nationale du paysage di Versailles.
Paesaggista tra i più noti e influenti d’Europa, è il teorizzatore del giardino planetario, del giardino in movimento e del concetto di terzo paesaggio.
Ha all'attivo numerosi saggi e romanzi.
Ha realizzato diversi parchi e giardini, sia pubblici che privati.
Tra le maggiori opere i giardini de La Défense e il parco André Citroën (13 ettari sulle rive della Senna nei terreni che appartenevano all'omonima fabbrica automobilistica) entrambi a Parigi, e il parco Matisse a Lilla.

Per rispondere alla seconda domanda circa la definizione di “Terzo paesaggio”, dal sito della casa editrice Quodlibet estrapoliamo quanto segue (a cura di Filippo De Pieri):
“Manifesto del Terzo paesaggio” è il primo libro tradotto in italiano di uno tra i più noti paesaggisti europei. Con l’espressione “Terzo paesaggio”, Gilles Clément indica tutti i “luoghi abbandonati dall’uomo”: i parchi e le riserve naturali, le grandi aree disabitate del pianeta, ma anche spazi più piccoli e diffusi, quasi invisibili: le aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie; le erbacce al centro di un’aiuola spartitraffico… Sono spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati solo dall’assenza di ogni attività umana, ma che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica. Questo piccolo libro ne mostra i meccanismi evolutivi, le connessioni reciproche, l’importanza per il futuro del pianeta. È un’opera di grande densità teorica, che apre un campo di riflessione anche ad implicazioni politiche.

Ma la cosa che più ci interessa è certamente rispondere alla terza domanda e cioè su quali fonti di ispirazione o implicazioni culturali potrebbe comportare il concetto di “Terzo paesaggio” per chi fotografa.
A tale proposito facciamo riferimento ad una mostra e ad un libro “Terzo Paesaggio – Fotografia Italiana Oggi” con opere di Luca Androni, Andrea Galvani, Armida Gandini, Tancredi Mangano, Maurizio Montagna, Moira Ricci, Francesca Rivetti, Alessandro Santini, Marco Signorini, Alessandra Spranzi, Richard Sympson, (XXIII edizione premio nazionale arti visive città di Gallarate) 2009 Damiani Editore Bologna, ISBN 978-88-6208-095-8.
Nella presentazione di Emma Zanella “Territori per la diversità” a pag. 59 si evince che lo sguardo degli artisti è rivolto a “situazioni marginali, nascoste, apparentemente poco visibili…”.
Qui sta il nocciolo della questione forse non ancora del tutto analizzato e che potrebbe interessare i fotografi di paesaggio in genere.
Si tratterebbe di esplorare quelle porzioni di territorio ignorate e dimenticate dall’uomo dove la natura lentamente si riappropria di luoghi apparentemente invisibili ai nostri occhi disattenti o troppo occupati in sguardi omologati e male indirizzati da chi manipola il nostro vedere, sempre più attratto dai piccoli schermi retro illuminati dei nostri cellulari o tablet, da cui non distogliamo mai lo sguardo, nemmeno quando guidiamo l’automobile.
Invece a volte converrebbe essere come ci ha insegnato Italo Calvino nel suo Marcovaldo (pubblicato nel 1963)  “Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne Luminose, manifesti, per studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulle sabbie del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai: non c’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza”.
… e della nostra aggiungo io.

Ulteriori approfondimenti su http://paesaggimutanti.it/node/887